Il futuro della lingua all’epoca della rivoluzione digitale il dialogo con «la generazione degli slogan»

7 / 2018     RU / ITA
Il futuro della lingua all’epoca della rivoluzione digitale
Gaetano Piccolo dottore di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana
Un linguaggio è sempre inseparabile da una forma di vita. Se vogliamo iniziare un dialogo con l’uomo dell’epoca degli slogan, occorre imparare a usare il linguaggio semplice e immediato degli affetti.

Dalle grandi narrazioni agli slogan

Nel suo libro «La condizione postmoderna» il filosofo francese Jean François Lyotard rifletteva sul fatto che l’epoca post-moderna è caratterizzata meglio di tutto dai cambiamenti del linguaggio, grazie anche alla nascita dei sistemi di traduzione, dei terminali degli uffici pubblici. In questo senso, il nostro tempo è un’ulteriore estremizzazione di questo processo: l’informatizzazione (nel senso anche del peso dell’informazione piuttosto che della conoscenza), lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione portano a una condizione quando l’uomo contemporaneo è immerso dentro una vasca di input comunicativi ed è continuamente sollecitato.
Dunque potremmo definire il tempo che stiamo vivendo come l’epoca degli slogan. A differenza delle grandi narrazioni dell’epoca moderna, le micro-narrazioni si esprimono attraverso pensieri essenziali, ma incisivi, che si dirigono più alla sfera dell’azione che non a quella del pensare. Non si tratta più di una parola curata, complessa, nobile, ma di una parola gettata, rapida, incisiva nella sua essenzialità.
Il cambiamento del linguaggio è inevitabilmente connesso a un cambiamento nel modo di pensare. Veniamo da una tradizione occidentale fortemente sbilanciata sul valore della razionalità logica. Ancora nel secolo scorso la visione dell’uomo era improntata fortemente a questa dimensione razionale, mentre la dimensione degli affetti è stata delegata alla psicologia, perché considerata un luogo da curare o almeno da gestire.
Oggi, silenziosamente, ci stiamo ribellando a questa impostazione. La gente vuole esprimere ciò che sente. Si tratta di uno dei sintomi che esprime il ritorno alla sensibilità spesso connesso a un ritorno alla spiritualità compresa soprattutto come bisogno di dare spazio all’emotività.

Il mito della felicità e la lotta con il limite

Il mito della felicità oggi sembra collocarsi nella rivendicazione 
individuale, nell’affermazione di sé anche a scapito degli altri. La felicità è messa in relazione con l’esercizio della propria libertà assoluta, mentre l’io si pensa come il primo o l’unico, rivendica diritti per sé anche quando questi diritti implicano il mancato riconoscimento dei diritti del più debole. L’esempio più eloquente è quello della generazione mediante l’utero in affitto, dove, per soddisfare un’esigenza considerata come diritto, si nega il diritto del più debole, cioè di colui che non ha voce, che non è ancora nato, il diritto a poter rispondere alla domanda «chi sono?».
La modernità ha interpretato il limite solo in senso negativo, il limite come mancanza, come ostacolo, come radice di infelicità. Anche se Dio crea mettendo dei limiti che ci permettono di essere persone che si stagliano con una propria individualità su un tutto indifferenziato. Il genere sessuale per esempio è un limite, grazie al quale posso dire chi sono. Rifiutare il limite, non vuol dire acquistare un’identità, ma perderla.
Il mito della felicità è connesso con quello della giovinezza. Nella nostra cultura il valore della persona non è più legato alla saggezza che si acquisisce con la vita, ma con la sua capacità di produrre. Chi non può produrre, o chi non può più produrre, diventa un problema da tollerare. La disabilità, la vita limitata, è sentita come minaccia da eliminare: dobbiamo tutti essere belli e perfetti, dobbiamo essere tutti immagini da copertina. Perfino i nonni non si riconoscono più come persone di una certa età, né gli adulti si decidono a fare i padri. Ne fanno le spese i figli che non solo perdono punti di riferimento da imitare, ma vengono schiacciati da chi non si decide mai a lasciare spazio a chi viene dopo.

L'effetto della giostra

Quando ho visto per la prima volta il film di Sorrentino «La grande bellezza», sono rimasto a dir poco perplesso, perché non riuscivo a coglierne il senso. A distanza mi sono reso conto che probabilmente era proprio quello lo scopo del film: descrivere un’epoca che non riesce a cogliere il senso. Ma, a differenza dell’epoca post-moderna, l’uomo contemporaneo, l’uomo degli slogan, non si strugge nel dolore angosciante della perdita e della sconfitta, ma si rifà il trucco, con operazioni di lifting, cercando di presentare una parvenza di felicità, costruendo contesti di vita ampiamente falsi.
Il sociologo britannico Zygmunt Bauman parlava di società liquida per il post-moderno, ed alcune sue osservazioni sono adattabili anche all’epoca degli slogan. «L’epoca postmoderna — scrive Bauman — è suddivisa in episodi, la cui successione non è preordinata in alcun modo, come sarebbe invece nella disposizione delle perline su un pezzo di filo».
Altre immagini che ci vengono sempre dalla riflessione di Bauman sono quella della giostra e del casinò, ovvero la tentazione di ricominciare sempre da capo: non costruiamo più progetti che abbiano un termine e che affrontino poi il momento della verifica, facciamo progetti che si susseguono come tanti giri di giostra uno dopo l’altro, e questo spesso ci fa perdere il senso della continuità nel tempo. Similmente, la vita è percepita come una serata nel casinò: tentiamo sempre nuove puntate, ricominciamo la partita, sperando ogni volta che sia quella buona.

Aiutare a infilare le perle

Un linguaggio è sempre inseparabile da una forma di vita. Se vogliamo iniziare un dialogo con l’uomo dell’epoca degli slogan, occorre imparare a usare il linguaggio semplice e immediato degli affetti.
La rivalutazione del mondo affettivo, propria di questo tempo, è una porta attraverso la quale è possibile entrare nel mondo dell’altro. Gli affetti sono energia che spinge, possono essere una grande risorsa per la rinascita spirituale. Proprio attraverso gli affetti viene la consapevolezza di se stessi, perciò bisogna aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a conoscere meglio il proprio mondo emotivo.
Infine, possiamo cercare di aiutare le persone a unificare il proprio mondo, a mettere insieme le perle su un filo che le valorizzi. Possiamo aiutare a unificare gli affetti cercando il senso di quello che sta avvenendo nel cuore, ma possiamo anche aiutare a unificare le informazioni per trasformarle in conoscenza, costruendo percorsi personali che ci conducano da qualche parte, senza dover sperare, sempre di nuovo, nel prossimo giro di giostra.